Contiguo alla biblioteca è l’archivio, che ha reso famosa l’abbazia. Fondata nel 1011 da S. Alferio, in breve assurse a grande potenza per le innumerevoli donazioni di beni, di chiese e di monasteri da parte di principi (soprattutto longobardi e normanni), vescovi e signori, oltre che di privati. La gestione, la difesa e le rivendicazioni dei vari possessi e l’amministrazione delle terre date ad laborandum o in enfiteusi diedero origine ad un’ingente mole di documenti, regesti, inventari e catasti. La presenza poi di documenti anteriori alla fondazione della Badia di Cava - più di seicento - si spiega col fatto che chiese e monasteri erano donati alla Badia insieme con i loro archivi. Tra i monasteri più antichi sono notevoli S. Massimo di Salerno (fondato nell’865 e passato a Cava nel 1086), S. Maria de Domno pure di Salerno (fondato nel 989 e donato a Cava nel 1091) e S. Nicola de Gallocanta, tra Vietri e Salerno, costruito nel 983 e dato a Cava nel 1148. Quanto detto per i tre monasteri vale anche per altri beni immobili - anche modesti - che divenivano proprietà della Badia di Cava insieme con i relativi documenti.
Diversi monaci archivisti – col titolo di vestararius prima e poi di armarius - fin dal sec. XIII si adoperarono con diligenza nella custodia, nello studio e nell’utilizzazione dei documenti, ordinandoli ed annotando sul dorso il regesto.
Dopo il periodo della commenda, con l’aggregazione di Cava alla Congregazione di S. Giustina di Padova nel 1497, rifiorirono anche gli studi archivistici per opera soprattutto di D. Vittorino Manso, D. Alessandro Ridolfi e D. Agostino Venereo, senza dubbio il più grande archivista di Cava. Questi lesse e transuntò tutti i documenti, dividendoli secondo i fondi ed i luoghi di provenienza, separando le bolle e i documenti pontifici dai documenti privati, scrisse sul dorso di ognuno il sunto con i dati cronologici ed archivistici e trascrisse tali indicazioni in grandi registri. Contemporaneamente D. Agostino segnava in diversi libri in folio tutte le notizie che riteneva interessanti, creando dei dizionari ancora insostituibili per le varie ricerche storiche. Va chiarito che il materiale cartaceo rimase unito a quello pergamenaceo.
Nel 1626 furono allestiti nuovi armadi, segnati con lettere per i diplomi e con numeri per i documenti privati.
Nel 1760, con la demolizione della vecchia chiesa, l’archivio e la biblioteca, che erano sistemati su di essa, dovettero cambiare sede. Risulta, comunque, che le sale attuali, fornite di eleganti armadi e decorate con belle pitture pompeiane al soffitto, furono allestite nel 1784. All’epoca era abate D. Raffaele Pasca e archivista D. Salvatore De Blasi, benemerito per lavori archivistici inediti e per la Series Principum qui Langobardorum aetate Salerni imperarunt (Napoli, 1785).
Una novità notevole si ebbe con l’archivista D. Ignazio Rossi (1827-1831), il quale collocò i documenti in ordine cronologico e separò i documenti cartacei da quelli pergamenacei.
Dopo la soppressione del 1866 i monaci, rimasti come custodi del materiale requisito dallo Stato, oltre agli ordinari impegni di custodia e di studio, si dedicarono alla pubblicazione dei documenti pergamenacei nel Codex diplomaticus cavensis, in 8 volumi (precisamente 1388 documenti dal 792 al 1065). Tra il 1887 ed il 1890 redassero l’indice alfabetico per nomi e per materia dei 7760 documenti cartacei.
L’archivio possiede oltre 15000 pergamene latine, di cui la più antica è del 792, e 101 pergamene greche.
Non tutte le pergamene latine hanno fatto sempre parte dell’archivio. Nel 1807 circa 1500 pergamene della Certosa di Padula, insieme a sei codici, furono acquistate a Salerno (si vendevano in piazza al primo offerente) dall’archivista D. Luigi Marincola, che le salvò così dalla dispersione. Verso il 1820 si ebbero altre 114 pergamene del convento di S. Francesco di Eboli e circa 500 dei Celestini di Novi Velia. Nel ‘900, per varie donazioni, sono state acquisite circa 150 pergamene: 122 del monastero basiliano di S. Maria di Materdomini versate nel 1924 dal Comune di Nocera Superiore, 76 di Roccagloriosa donate dal barone Fernando de Caro nel 1958, 49 di Capaccio donate dal dottor Vincenzo Rubini nel 1975. Altre 101 furono recuperate nello stesso anno 1975 dallo smontaggio di copertine di protocolli notarili.
Il materiale archivistico fu tutto studiato da D. Agostino Venereo, che ne trasse tre opere fondamentali: Dictionarium Archivii Cavensis in tre volumi (ricopiati in sei volumi da D. Camillo Massaro), Additiones Archivii Cavensis in tre volumi; Familiarum libri in tre volumi.
Il catalogo cronologico del materiale pergamenaceo, redatto in latino, è contenuto in otto volumi in folio, uno per le bolle e i diplomi, gli altri sette per i documenti privati.
Nell’archivio si conservano regesti, inventari e libri di censi di grande interesse. Si segnalano: Regestrum D.ni Balsami Abbatis, anni 1222-1225, in pergamena; Inventarium abbatis Mainerii, 1341-1359, in pergamena; Liber reddituum et ecclesiarum Cavae D.ni Thomae Abbatis, 1261-62, in pergamena; Regestrum D. Thomae abbatis, 1259-64, in carta bambagina; Regestra D. Maynerii (4 volumi), 1341-1365, in carta; Inventarium seu quinternus terrarum nostri monasterii S. Benedicti de Salerno antiquitus, sec. XIII-XIV; Inventario di S. Maria Maddalena di Bari, sec. XVI; Censi del Vestarario, sec. XIV; Liber censuum Cavae, sec. XIV-XVI; Regestra D. Ioannis Cardinalis de Aragonia (5 volumi), 1475-1485; Libri visitationum (29 volumi), relativi alle visite pastorali degli abati cavensi dal 1500 al 1934; 15 volumi di copie legali in pergamena di documenti, bolle e privilegi compiute negli anni 1503-1510; 182 volumi di protocolli notarili che vanno dal 1468 al 1801; 155 registri di amministrazione della Badia, dal 1497 al 1853.
Per la pubblicazione del materiale pergamenaceo, alcuni documenti entrarono già nelle opere del Muratori e dell’Ughelli, però l’edizione integrale fu ideata dopo la soppressione, precisamente nel 1869, dai monaci cavensi, i quali pubblicarono il Codex Diplomaticus Cavensis¸a cura di M. Morcaldi, M. Schiani e S. De Stefano, vol. I, Neapoli 1873; vol. II-VIII, Mediolani-Pisis-Neapoli 1875-1893; vol. IX-X a cura di S. Leone e G. Vitolo, Badia di Cava 1984-1990. I documenti pubblicati sono 1669, dal 792 al 1080.
Due fondi sono confluiti nell’archivio per donazione nel sec. XX: il fondo Mansi, donato nel 1970 dalla signorina Eleonora Mansi di Ravello, ed il fondo Talamo-Atenolfi-Brancaccio, donato nel 1979 dai marchesi Talamo-Atenolfi-Brancaccio di Castelnuovo Cilento. Nel 2012 il Principe Avv. Mario Putaturo Donati Viscido di Nocera, Presidente aggiunto on. della Corte Suprema di Cassazione, ha dato in affidamento l’archivio di famiglia, vincolato dalla Soprintendenza di Napoli, chiarendo che non lo affida alla biblioteca statale, ma all’Abbazia benedettina della SS. Trinità di Cava, sull’esempio dei suoi antenati longobardi.